La digitalizzazione ha cambiato anche il mondo legal, e con esso anche il compito di chi si dedica alla selezione di personale per il settore legale. Non c’è dubbio che, in ambito forense, ci sia stata una certa resistenza. Questo, però, non può stupire: si dice del resto che, agli inizi del Ventesimo Secoli, gli avvocati americani si rifiutarono per anni di adottare il telefono nei propri studi, temendo che quella nuova tecnologia potesse ledere la loro dignità. Oggi la storia sembra – almeno in piccola parte – ripetersi, con molti avvocati che, quattro anni dopo l’entrata in scena dell’obbligatorietà del Processo Telematico, continuano a opporsi più o meno strenuamente all‘evoluzione digitale.
Selezione di personale per il settore legale: l’avvocato del futuro sarà digitale
Eppure il futuro è già scolpito: l’avvocato dei prossimi anni sarà digitale, e chi si occupa di selezione di personale per il settore legale lo sa molto bene. Sono le stesse aziende, infatti, a richiedere dei consulenti legali in grado di esercitare la propria professione in modo smart, mettendo a frutto nel migliore dei modi le proprie conoscenze tecnologiche. E se le aziende – e quindi i clienti – esigono degli avvocati al passo con i tempi, gli studi non possono che reclutare dei profili pronti a utilizzare perfettamente i più moderni strumenti di comunicazione e di archiviazione digitale. Non è però tutto qui: l‘intelligenza artificiale, infatti, ha fatto il suo ingresso ufficiale anche nel mondo giuridico. E, di nuovo, gli avvocati che intendono svolgere il proprio lavoro in modo efficace anche nei prossimi anni non possono che prendere nota.
L’avvocato digitale
Se la comunicazione tra avvocato e cliente si è evoluta, andando oltre il classico duo ‘incontro e stretta di mano’, anche il lavoro stesso di consulenza legale è destinato a venire rivoluzionato in profondità. Tra non molto, per determinate figure forensi, i recruiter specializzati nella selezione di personale per il settore legale si ritroveranno quindi a scremare i candidati anche in base alla loro capacità di interfacciarsi con le più evolute piattaforme AI. Non c’è motivo di temere l’innovazione, in quanto l’obiettivo finale, come sempre, è quello di permettere ai professionisti di svolgere con maggiore efficienza il proprio lavoro. Si tratta, infatti, di strumenti a servizio dell’avvocato, e non contro di esso (a prescindere dalle varie considerazioni relative agli assetti economici e sociali).
Non è, del resto, uno scenario lontano. Anzi: JpMorgan, da oltre un anno, utilizza una piattaforma denominata Contract Intellingence – chiamata più affettuosamente Coin – la quale in una manciata di secondi è in grado di svolgere compiti che, altrimenti, avrebbero richiesto 360mila ore di lavoro. Non serve d’altronde guardare a per forza agli Stati Uniti: su esempio britannico, un numero consistente di studi italiani si è dotato del software Ross, una piattaforma firmata IBM che è capace di rispondere in modo automatico a milioni di quesiti legali, relativi a delibere, casi giudiziari, dispositivi di legge e via dicendo. Va sottolineato che questa piattaforma costa mensilmente quanto un consulente legale potrebbe richiedere per una sola ora di lavoro.
Questo non significa togliere lavoro agli avvocati. Vuol dire piuttosto ottimizzare il loro tempo, e significa che, grazie a software come questi, i praticanti potranno dedicare il loro tempo e le loro energie a delle attività più complesse, più soddisfacenti e anche più utili per il loro apprendimento.
Di fronte a tutto questo, diventa praticamente impensabile, in un normale processo di selezione di personale per il settore legale, puntare su un candidato mancante delle necessarie skills digitali. D’altronde, l’avvocato deve essere in primo luogo un uomo di cultura, e quindi una persona preparata e consapevole, pienamente immersa nel proprio tempo, così da essere in grado di capire il comportamento stesso della società: solo così, infatti, un profilo legale può essere effettivamente in grado di svolgere al meglio il proprio lavoro.
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