Colloqui di selezione del personale: gli errori da evitare
Trovare le persone giuste per un determinato lavoro è una sfida emozionante quanto insidiosa: siamo costantemente a rischio di commettere numerosi errori di valutazione, riducendo così l’efficacia del processo di selezione del personale. Vediamo quali sono questi errori da evitare durante i colloqui di selezione, e scopriamo come poterli arginare.
I colloqui di selezione sono la via privilegiata per l’ingresso in azienda. Eppure è in corso da numerosi anni un vivo dibattito sulla sua effettiva capacità di predire le future prestazioni dei candidati. Secondo l’indagine svolta da Schmidt e Hunter (A Better Way to Hire: A Case Study of 37 signals’ s Hiring Practices), i colloqui di selezione hanno una validità predittiva del solo 14%: una prospettiva davvero disarmante, dal momento che è proprio a questi colloqui che ci affidiamo, per scoprire quelle risorse e quei talenti che sono così necessari per la crescita e il successo della nostra impresa.
Questo avviene perché nei colloqui di selezione è coinvolta tutta la nostra soggettività – formazione culturale, storia personale, inclinazioni, emozioni, finanche l’umore del momento – col conseguente corollario di pregiudizi, parzialità, condizionamenti che ne deriva: i cosiddetti bias. Legate come sono ad un fattore percettivo, ovvero ad una realtà filtrata attraverso la soggettività del valutatore, le distorsioni di giudizio sono una componente difficilmente eliminabile del processo di selezione: conoscerle, però, ed essere consapevoli di come agiscono, ci sarà di grande aiuto nel limitarne il più possibile la portata e l’influenza. Vediamo ora quali sono i bias più diffusi, e come porvi rimedio.
L’effetto alone
La causa di uno degli errori di valutazione più frequenti è il cosiddetto effetto alone, ovvero la tendenza ad estendere una caratteristica positiva o negativa di un candidato al giudizio complessivo che ce ne facciamo. In tal modo, un aspetto della persona che ci sta davanti metterà in ombra ogni altra considerazione, e leggeremo ogni informazione alla luce di questa prospettiva arbitraria che, più o meno inconsciamente, abbiamo assunto. Ne è un tipico esempio l’associazione bellezza-bontà: nel suo “Le armi della persuasione”, lo psicologo Robert B. Cialdini ha esposto i risultati di una ricerca svolta nell’ambito della selezione del personale, dimostrando che l’aspetto fisico dei candidati ha un peso maggiore dei titoli di studio o dell’esperienza lavorativa, nonostante gli intervistatori dichiarino di non lasciarsi influenzare da questo fattore.
L’effetto alone, oltre che dalla bellezza, può essere generato da qualsiasi altra caratteristica del candidato, dal suo tono di voce al suo abbigliamento, da un particolare del suo curriculum o persino da un’informazione di ambito extra-lavorativo, fornita in modo quasi fortuito, come potrebbe essere lo scoprire che intervistato e intervistatore coltivano il medesimo hobby.
Noi percepiamo l’altro attraverso il filtro della nostra soggettività, e questa soggettività pensa per associazioni: in tal modo, assoceremo un tratto piacevole del candidato – qualcosa che ci colpisce favorevolmente, qualcosa per
noi importante – a tutta una serie di qualità ulteriori in nessun modo verificate, e viceversa assoceremo un tratto sgradevole dello stesso a tutta una serie di mancanze e difetti che verosimilmente esistono soltanto nella nostra immaginazione. E’ evidente quale sia l’altissimo rischio di un approccio del genere:invece di scegliere una persona adatta al ruolo, finiamo per scegliere una persona piacevole ai nostri occhi.
Colloqui di selezione: controllare l’effetto alone
Come possiamo evitare un errore, capace di avere ripercussioni decisamente negative sull’azienda? E’ possibile controllare l’effetto alone in due modi:
– costruisci uno schema di valutazione, elencando tutti gli aspetti del candidato che desideri analizzare in sede di colloquio (formazione, competenze, esperienze pregresse, stile relazionale…): ciò ti permetterà una valutazione analitica, e non generica e globale, del candidato, ti “obbligherà” a prendere in considerazione ciascun elemento dello schema, aiutandoti a fornire una valutazione il più possibile oggettiva. Così potrai selezionare la persona che ha saputo dimostrarsi all’altezza dei requisiti richiesti nella griglia di valutazione e sarai in ogni momento in grado di rendere conto a te stesso e agli altri – colleghi, superiori – dei motivi della tua scelta. Ovviamente, gli elementi da prendere in considerazione nella griglia non sono tutti necessariamente di pari peso e importanza: potresti assegnare un punteggio a ciascun fattore, prima che abbia luogo il colloquio.
– concentrati sul processo stesso della valutazione. Ormai sai quanto il pregiudizio sia una componente ineliminabile del processo di selezione: ebbene, proprio questa consapevolezza sarà il tuo punto di forza, ti permetterà di osservarti, di riconoscere i tuoi stessi pregiudizi, vedere cosa li fa scattare e come agiscono. Ormai sai che, in sede di colloquio, un selezionatore efficace e attento valuterà non soltanto il candidato, bensì anche se stesso. Grazie a questa auto-osservazione potrai evitare di essere sedotto da una determinata qualità, estendendola per associazione alla totalità della persona da valutare, oppure di fondare la tua ripulsa su un aspetto che ti è risultato sgradevole, col rischio di ignorare o sottostimare tutta una serie di qualità e competenze che potrebbero rivelarsi una risorsa preziosa per l’azienda.
Effetto indulgenza/severità, effetto di tendenza centrale
Un selezionatore può poi incorrere in errori di valutazione a causa di una sua eccessiva indulgenza: questa distorsione può verificarsi allorché la ricerca di un dato profilo rivesta un carattere di urgenza. In tal caso, l’intervistatore sarà portato a mettere in secondo piano quegli standards di eccellenza cui solitamente si attiene, abbasserà le pretese e rischierà di scegliere un candidato soltanto perché disponibile, e non perché adatto al ruolo.
In misura analoga e contraria, una eccessiva severità – magari nella selezione di alti profili, dai requisiti molto elevati – può portare a scartare dei candidati promettenti, soltanto perché il loro profilo non è identico a quello del candidato ideale.
Se invece siamo portati ad attribuire soltanto i valori medi di una scala di valutazione, rischiamo di mortificare le prestazioni eccellenti e di non riconoscere pienamente quelle scarse: è il cosiddetto effetto di tendenza centrale. A scuola, per esempio, i professori si attestano generalmente su una gamma di voti che difficilmente scende sotto il 4 o sale sopra l’8. In tal modo, non assegnando mai un 1 o un 10, le prestazioni superiori non sono valorizzate, né sono adeguatamente individuate quelle pessime. Per evitare questo errore si può ricorrere ad una scala di valutazione priva di valori centrali, come una scala a 4 punti: in tal modo, non esistendo un valore che si collochi a metà della scala, saremo costretti a sbilanciarci, verso il basso o verso l’alto.
Effetto primacy, effetto recency
Una delle distorsioni più frequenti è quella derivata dall’effetto primacy, ovvero quando l’intervistatore si lascia influenzare dalle prime informazioni ricevute, dai primi scambi, dalle prime sensazioni, e tale imprinting determinerà il modo in cui vedrà e interpreterà il candidato nel corso di tutto il colloquio. Si tratta dell’effetto derivante dalla prima impressione, in virtù della quale l’intervistatore tralascerà o darà scarso rilievo a ogni informazione acquisita successivamente. Viceversa l’effetto recency si verifica quando diamo un improvviso, esclusivo valore alle ultime informazioni raccolte in sede di colloquio di selezione del personale, trascurando tutto quanto sia emerso in precedenza.
Così, un promettente colloquio può essere compromesso da un finale ‘in sordina’, in cui apprendiamo qualcosa che ci spiace ma a cui non daremmo grande peso qualora lo apprendessimo nel mezzo dell’intervista, o al contrario un candidato che non ci ha fatto una particolare impressione nel corso del colloquio può stupirci alla fine con una informazione tale da rivalutarlo completamente ai nostri occhi. In entrambi i casi, valgono gli stessi consigli forniti per ridurre al minimo l’effetto alone nei colloqui di selezione: una griglia di valutazione che sottragga il più possibile il giudizio alla parzialità della nostra soggettività, e una capacità di auto-osservazione, che ci permetta di indagare le dinamiche di questa soggettività nel momento stesso in cui si svolgono.
Effetto equazione personale, effetto di contrasto
L’effetto equazione personale si manifesta quando giudichiamo positivamente persone con caratteristiche simili alle nostre, e negativamente le altre. In questo caso, nei colloqui di selezione, facciamo di noi stessi il metro di giudizio, e ignoriamo quanto una risorsa competente e capace, e con punti di vista, prospettive differenti dalle nostre, possa dare valore all’azienda e creare innovazione. Per ridurre la soggettività di un tale giudizio, consigliamo di ricorrere – oltre che alla griglia di valutazione – anche ai test, prezioso strumento per rafforzare l’oggettività della valutazione. Prendete in considerazione anche l’eventualità di farvi affiancare da un altro intervistatore: una strategia vincente, per evitare questa distorsione.
L’effetto di contrasto si ha allorché l’intervistatore, sfiancato da una serie di colloqui di selezione deludenti, è tentato di attribuire una valutazione eccessivamente positiva ad un candidato, solo perché questi si è mostrato appena superiore a coloro che l’hanno preceduto. Si tratta di una sorta di resa per sfinimento. Viceversa, nel caso l’intervistatore sia reduce da una serie di colloqui eccellenti, rischierà di attribuire una valutazione eccessivamente negativa a un candidato, che si sia mostrato in realtà soltanto leggermente meno brillante dei suoi predecessori. Anche qui, l’ausilio di strumenti oggettivi di valutazione e una forte consapevolezza di sé sapranno ridurre al minimo errori e distorsioni.
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